SCRITTI DI ESTETICA
A cura di: Antonio Zimarino
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Lezione 4

Ragioni e idee per una rassegna d'arte: le differenze

Una mostra d'arte contemporanea presenta molto spesso delle espressioni formali eterogenee: pittura astratta, figurativa, sculture, installazioni, video ecc.: In genere si sceglie per essa un tema, un filo conduttore, anche se non pare obbligatorio cercarli: osservando le molte rassegne che si propongono, ci si accorge della labilità delle chiavi di lettura proposte anche se per un aspetto culturale sarebbe buona cosa fornirne di solide e metodologicamente sensate. Tuttavia, anche se una mostra non avesse plausibili temi da affrontare e da vagliare, anche se si trascurasse di essa ogni aspetto riflessivo, anche se si limitasse a porre all'evidenza alcune identità ed esperienze di artisti, potrebbe sempre divenire di per se "motore" di qualche scelta o di pensiero, per il suo stesso porsi come insieme, molteplicità di voci, in uno spazio fisico e temporale limitato. 

Una mostra può essere anche soltanto un luogo qualsiasi di incontro tra vari soggetti variamente interessati a vedere o a esporre, e per questo non può che essere implicitamente, un confronto, un modo di porre in relazione livelli, esperienze e modi diversi di pensare e di fare arte, proprio perché nelle condizioni fisiche, temporali e spaziali cui costringiamo opere e persone, non possono che emergere dei confronti per similitudine o diversità, cioè, delle differenze. In quanto esistono le "differenze", da un incontro - appuntamento, possono liberarsi idee nei singoli, negli artisti, negli osservatori: qualsiasi confronto tra diversità, rende necessario lo sviluppo di un pensiero, di una riflessione e se ciò non accade e non si manifesta, resta difficile pensare che una mostra sia "cultura", sia crescita di consapevolezza, sia luogo dove liberare idee. Può limitarsi ad essere vetrina da salumiere. 

Intendo dire che se una mostra, pur nelle sue incertezze e contraddizioni non è in grado di liberare energie di pensiero negli artisti e nei fruitori (o negli stessi organizzatori) essa non fa cultura, ma solo illustrazione. Che intendo dire per "liberare cultura" ? Sostanzialmente il "produrre idee", cioè il "relazionarsi" a differenti alterità col fine di comprenderle e con il fine di esprimere una considerazione. 

Ma come si può trasformare una "vetrina" in un fatto culturale ? Come è possibile far diventare un avvenimento sostanzialmente rituale come quello di una mostra in un qualcosa che lasci una formazione, oltre che informazione, un pensiero, una prospettiva, un senso, piuttosto che un disorientamento o un messaggio pubblicitario? 

Il problema va affrontato su due versanti ma che sostanzialmente partono da un concatenarsi di scelte che hanno una radice in una visione etica: l'etica però è assolutamente non prescrivibile, non formalizzabile ai nostri tempi. Essa dovrebbe apparire in primis, nella scelta di fondo del cosiddetto curatore, in colui che sceglie cosa esporre o organizza ciò che deve essere esposto. 

Proviamo a ricostruire una essenzialissima storia della sua necessità. 

L''individualismo, la visione soggettiva, la prospettiva univoca ha imperato ed impera nel mondo delle arti figurative così come nella concezione competitiva del nostro stesso vivere sociale. Bisogna ricordare però che l'individualismo nelle arti e nell'approccio alla vita stessa è un prodotto derivato del più banale romanticismo del secolo scorso, al quale si può rimanere ancorati soltanto se fare arte, o parlare di essa, significhi ancora per noi, promuovere e affermare se stessi e la propria visione soggettiva. Se per noi avere a che fare con l'arte significa solo gratificarci o affermare il sé, allora diventa difficile cambiare prospettiva. 

Andando invece a considerare con attenzione i fenomeni culturali attuali più importanti, quali il "relativismo", la molteplicità di direzioni, di forme, di espressioni, di linguaggi, di referenti ecc., ci possiamo accorgere attraverso questi fenomeni che in arte (ma non solo in essa) non è più il tempo degli eroi presuntuosi, ma piuttosto di gente che desideri e intenda capire cosa stia accadendo davvero alle nostre società e alle nostre culture. E' lo stesso disorientamento concettuale della nostra età che ci porta a queste considerazioni: la perdita della certezza può essere certamente un fatto traumatico ma è anche l'unica sanissima possibilità che abbiamo per capire i limiti della strisciante presunzione di avere risposte assolute in tasca, di sapere cosa sia o non sia l'arte, di stabilire cosa debba essere il gusto e cosa ci rappresenti. Significa che il disorientamento, la molteplicità, la multilateralità e il necessario confronto di conseguenza è quanto mai salvifico, che la diversità può essere quanto mai feconda, perché nel gettarsi dentro la ferita aperta dell'incertezza, siamo costretti a mettere in moto quei meccanismi interiori, quegli anticorpi intellettuali che chiedono "a noi", alla nostra esperienza, alla nostra individualità, di delineare possibili poli di orientamento e delle luci nelle nebbie. 

Intendo dire che l'incertezza, la molteplicità ci disorienta e ciò ci pone in una condizione di "debolezza" che può manifestarsi sostanzialmente in due atteggiamenti: il primo, semplice, ma "poco umano" e quello di accettare che ci sia qualcuno o qualcosa che scelga per noi; ci si pone nell'atteggiamento del non chiederci "perché" il fenomeno ci sia, ma di accettarlo come valore soltanto perché posto in evidenza da fenomeni ripetitivi. Il secondo atteggiamento è quello della ribellione intellettuale che reclama di capire il "perché" un fenomeno sia rilevante; questo secondo atteggiamento presuppone una volontà di comprendere e di darsi gli strumenti per farlo; vuol dire che, pur non potendo esprimere visioni definitive, possiamo erodere il senso delle cose, relazionandole, confrontandole, valutandole, all'infinito, forse, ma in una operazione che può restituirci dei punti di riferimento riscoperti, per analisi, per esperienza, per relazione. 

Trasferendo questa ampia digressione in arte ne abbiamo la necessità di tornare a esprimere giudizi, di valutare ciò che si vede, ma con una piccola differenza, con un'altra consapevolezza che ci è stata insegnata dal crollo dei sistemi assoluti; il giudizio non può che scaturire dal rispetto della diversità, dalla coscienza che la realtà da leggere è ciò che vediamo e che ciò che vediamo non è altro che una porzione limitata di un Tutto inafferrabile, anche se comunque vera perché sperimentata. Se è vera vuol dire che nasce da una esperienza, da una scelta che può convincerci o meno, ma in quanto tale, rispettabilissima. 

Nell'ottica critica e umana che sta dietro la selezione degli artisti presentati, la "diversità" va vista non come limite ma come una ricchezza, il curatore cioè deve cercare di interpretare e organizzare la diversità secondo dei criteri culturali o visivi. Questo può darsi in modo efficace purché l'incontro tra le diversità avvenga nel rispetto reciproco della loro identità. Ad esempio, deve evitare contrasti con opere qualitativamente differenti, deve dunque stabilire una "qualità" di ciò che espone; deve saper valorizzare la specificità di un lavoro, cogliendone la sostanza; deve dunque analizzare il materiale a disposizione con una apertura mentale tale da bilanciare gli effetti e le identità. Deve rispettare a fondo l'opera, deve rispettare a fondo l'osservatore perché dal rispetto, dalla cautela, dalla determinazioni di ambiti e tagli visivi, può emergere qualcosa di interessante, di confrontabile; qualcosa che non impone verità e modelli ma percorsi di senso, variabili nelle loro valenze, ma possibili e credibili per il pensiero. 

Più facile operare in questo modo quando è il curatore a selezionare, più difficile quando e chiamato a lavorare su una selezione già realizzata, come spesso capita a chi opera nel settore. 

Affrontare la diversità con la mente e il cuore aperto è dunque necessario per capire, che un incontro come quello di una mostra d'arte non deve essere un gioco rituale, o l'occasione per criticare ciò che altri propongono, da punti di vista inattaccabili. E' invece pensare le cose e se stessi nello spirito del libero confronto. Ogni occasione di mostrare deve essere pensata e preparata come se si volesse fornire una opportunità per il pubblico di vedere aspetti interessanti delle arti figurative e quindi "pensare" con essi; per gli artisti, dovrebbe essere una occasione per non rimanere più chiusi nelle proprie stanze ideali e reali a far crescere smisuratamente la propria solitudine intellettuale;per il pubblico potrebbe essere il luogo dove esercitare la propria necessità di darsi risposte. 

Solo questa consapevolezza, permette di far tornare le mostre ad essere luoghi di interrogazioni e di colloqui tra le persone e tra le persone e le opere: qualsiasi colloquio, (loquere - con, parlare insieme) se condotto accettando rispettosamente ciò che gli altri hanno da dirci, non potrà che essere una crescita, un modo per capire le identità, senza negarne nessuna. 

In questa diversa dimensione, non si ha la necessità di dire unicamente, ciò che un'opera "non è" ma di collocare il suo essere (nei suoi limiti e nei suoi pregi) nell'ambito proprio che gli restituisca il senso. Avremo così un giudizio che rispetta le identità, e si potrà valutare il senso di quell'identità nel confronto libero con le altre.


Theorèin - Luglio 2004